Le affinità elettive che ci legano al popolo catalano.
Il calcio con la politica dovrebbe entrarci poco o niente, ma come sport di massa che coinvolge direttamente o indirettamente milioni di persone non può chiamarsi fuori da ciò che accade nel mondo.
La Catalogna e la Spagna di cui la prima è una delle regioni più cariche di storia, stanno attraversando un periodo di crisi. Qualcuno potrebbe dire: “Sì, ma a noi siciliani cosa può importare di ciò che avviene nella penisola iberica?”
Potremmo rispondere come scrisse Hemingway nel suo “A Farewell to Arms” (Un Addio alle armi): “Quando senti suonare la campana, non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te”.
L’Uomo non è un’isola e, come scrisse Terenzio in una delle sue più note comoediae (Heautontimonoumeros), se siamo Uomini, “di quello che è umano, nulla io trovo che mi sia estraneo”
Ciò vale, ovviamente, per tutti, ma per noi siciliani – quando si parla di Catalogna o di Spagna – vale ancor più. Perché? Ma perché quella catalana è una comunità alla quale siamo stati legati per secoli.
Dal Vespro (1282) sino alla Pace di Utrecht (1700). Un legame che è durato, in varie forme, per più di 400 anni. Come non provare interesse e comunanza con una popolazione con la quale si sono avuti legami di sangue oltre che politici?
Le rivendicazioni che i catalani avanzano oggi, sono le stesse che animarono la Sicilia del dopo armistizio (1943-1946) e che portarono alla promulgazione del nostro Statuto Speciale a più riprese “tradito” dagli uomini che si sono avvicendati nel Parlamento siciliano e che – più che rappresentare gli elettori, hanno sempre rappresentato gli interessi “nazionali” dei partiti “romani” e delle loro segreterie politiche. Non è lo Statuto inadeguato (anche se andrebbe obiettivamente ritoccato), quanto, piuttosto, gli uomini che pretendono di rappresentarci.
La crisi iberica ripropone l’inadeguatezza di un’Europa dei vecchi “Stati nazionali” e delle tradizionali lobbies che li governano contro l’esigenza di dar vita a un’Europa più dinamica incentrata sullo spinta che solo una “Europa delle regioni” può dare. Regioni che rispondono ad interessi più vicini al cittadino europeo di quanto non lo possano essere quelli rappresentati da vecchi modelli improntati a logiche che trovano la loro ragion d’essere nel XIX e XX secolo.
Che la Catalogna voglia ricavarsi un’autonomia rispetto a Madrid preferendo un rapporto diretto con Bruxelles non mi sembra che leda interessi particolari in una Europa che voglia unirsi politicamente e non solo economicamente.
E’ un anelito che potrebbe unire le tre provincie basche dell’attuale Spagna con le due dell’attuale Francia. E’ un anelito che potrebbe spingere il Friuli e la Slovenia a dar vita ad una nuova macro-regione. O spingere il Tirolo austriaco e l’Alto Adige italiano a dar vita a un’entità regionale indipendente dai due attuali stati nazionali.
Potremmo fare tanti esempi, come anche quello siciliano che forse avrebbe più vantaggi a rapportarsi direttamente a Bruxelles piuttosto che all’attuale UE tramite Roma.
Ecco perché sentiamo vicini i fratelli catalani. Perché i popoli andrebbero ascoltati ricercando, poi, le soluzioni più rispondenti alle varie esigenze che devono convivere pacificamente …
Senza brutali e gratuite repressioni.
Gabriele Pomar
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